Guida al BIO: etichette e allarmismi

Ciao ragazze! Oggi scrivo un post un po' diverso dal solito, per venire incontro a tutte quelle tra voi che me l'hanno chiesto. Ultimamente c'è un forte e accresciuto interesse verso la cosmesi e il meccanismo di produzione che ne è alla base, dunque anche verso l'autoproduzione: sono tantissime le ragazze che, alle prese con l'allarmismo infondato che spopola sul web, si improvvisano piccole chimiche e decidono di cominciare a prepararsi da sole i cosmetici. Chiaramente, tutto ciò comporta dei rischi: un conto è applicare dell'olio sui capelli (e anche questo se fatto senza criterio farà danni, ovvero tenderà a seccarli), ben altro è preparare una crema idratante per pelli grasse a partire da una ricetta, come se fosse una torta. Paradossalmente, chi spignatta da sé i propri cosmetici corre una serie di rischi da contaminazione batteriologica che potrebbero condurre a risultati ben poco felici: non so voi, ma personalmente non userei mai dei prodotti che non provengono da un laboratorio sterile, e tra un bagnoschiuma al silicone e un'infezione da stafilococco preferisco mille volte la prima opzione.

Alcuni anni fa ho cominciato a soffrire di sfoghi cutanei, specialmente sul volto, che inizialmente erano stati "liquidati" con la diagnosi di una banale acne in un'età diversa da quella usuale, ma non convinta ho deciso di scoprire qualcosa in più su quelle macchiette: è stato così che mi sono avvicinata al mondo eco-bio, insoddisfatta per la mancata chiarezza delle mie idee. Navigando sul web ho trovato tante (e confusissime) informazioni riguardo qualcosa che non avrei mai immaginato potesse nascondere tanti segreti: le etichette dei cosmetici! Quello che prima era un mio passatempo durante le lunghissime docce in cui almeno 20 minuti vengono sprecati a riflettere sul nulla, si è tramutato in un'attività ben più interessante: mi sono molto interessata alla cosmetologia, e ho appreso molte nozioni al riguardo. 

Ma andiamo con ordine: cos'è il famigeratINCISi tratta semplicemente dell'insieme degli ingredienti che trovate sull'etichetta di qualsiasi cosmetico voi compriate, e che riporta in ordine di percentuale i composti che costituiscono il prodotto. Viene da sé che questi composti sono davvero tantissimi, ma possiamo distinguere principalmente due categorie: quelli che devono necessariamente essere sintetizzati, e quelli che invece sono presenti in natura.
Sulla base di questo è nato e cresciuto il sito più in voga tra le amanti (e le estremiste) del bio: il Biodizionario! Esso, infatti, riporta quasi 6000 ingredienti diversi presenti nei cosmetici di ogni marca, provenienze e fascia di prezzo. Tutti gli ingredienti si dividono in "verdi", "gialli" e "rossi", da interpretare così:


vai che vai bene
accettabile
ci potrebbero essere dei problemi ma, tutto sommato si può chiudere un occhio soprattutto se il componente è alla fine degli ingredienti
qualche problema, se ne sconsiglia l'uso a meno che sia il solo componente in rosso o che sia presente in misura minore (cioè elencato alla fine della lista INCI)
inaccettabile

In realtà, il discorso è un po' meno scontato, e va applicato a ogni prodotto, anche ai cosmetici naturali. Il fatto che un cosmetico contenga esclusivamente sostanze estratte da vegetali ed elementi ecocompatibili, non implica che esso sia funzionale: la cosa fondamentale, infatti, è non perdere di vista quello che è il nostro obiettivo principale quando acquistiamo qualcosa, ovvero che ci soddisfi e funzioni. Se così non fosse, avremo sprecato un sacco di soldi e continueremo ad essere insoddisfatte dei risultati, continuando così a vagare tra uno scaffale e l'altro a caccia del prodotto perfetto; probabilmente, questo è anche uno dei motivi principali che ha spinto tante ragazze a darsi allo "spignatto". In giro sul web si trovano molti vademecum come questo:


Tali sostanze sono presenti in una fetta piuttosto ampia dei cosmetici in vendita. A questo punto, sorge spontanea la domanda: "Com'è possibile che, se questi ingredienti sono davvero tanto dannosi, nessuno faccia niente per impedire che vengano utilizzati?". Non voglio credere che il quesito non vi abbia mai sfiorate, né tantomeno che abbiate scelto di non darvi una risposta o di gridare al complotto puntando il dito contro le multinazionali e le case farmaceutiche: spero che, com'è successo a me, la questione abbia sollevato qualche dubbio, e abbiate scelto la via dell'informazione
Informarsi, considerate le attuali condizioni del web, è davvero difficile: bufale a destra e a manca, dal piombo nei rossetti alle creme cancerogene, ciarlatani che si professano chimici, sprovveduti che vogliono "andare contro il sistema" senza sapere un'acca di quello che dicono. La mia "Bibbia" (nel senso che è la prima fonte alla quale attingo, fermo restando il senso critico nei confronti di quello che leggo) è No-Non Sense CosmEthic, un blog che mi ha insegnato davvero tanto, ma anche visitando siti come Pubmed o il New England Journal of Medicine potete trovare tanti articoli scientifici per aiutarvi a capire se davvero una sostanza fa male come si dice (su Pubmed bisogna cercare tra le Clinical Queries).

La natura insegna che non tutto ciò che offre ci fa del bene: scommetto che una buona parte di voi è tremendamente allergica al polline, e passa il periodo aprile-giugno con un fazzoletto perennemente attaccato alla mano. Tuttavia, nell'ultimo periodo va di moda demonizzare ogni sostanza di sintesi: ammetto, mea culpa, che all'inizio ci ero cascata anche io, ma per fortuna sono rinsavita.

Dopo queste lunghissime divagazioni, torniamo al dunque, e analizziamo con ordine queste categorie di sostanze che vengono da tutti additate come "IL MALE". 

  • SLS e SLES
L’SLS (Sodium Lauryl Sulfate) è uno sgrassante, usato anche per pulire motori nelle officine meccaniche, e come sverniciante: può essere irritante per la pelle e per gli occhi e aumenta la permeabilità della pelle. Lo SLES (Sodium Laureth Sulfate) è decisamente meno aggressivo dell’SLS, ma riguardo a quest'ultimo la questione è molto più controversa: in molti lo hanno condannato, sostenendo che durante la sua produzione si formi diossano, una sostanza cancerogena difficile da eliminare dal prodotto finale; alcune ricerche, inoltre, proverebbero che lo SLES può reagire con altre sostanze comunemente presenti nei cosmetici, portando alla formazione di nitrosammine (di cui vi parlo un po' più in basso). Tuttavia, secondo Fabrizio Zago, chimico industriale creatore del biodizionario, se ben bilanciato con una betaina (una sostanza estratta dalle barbabietole da zucchero ed assimilabile alla vitamina B), lo SLES non è poi tanto aggressivo. 
Riporto quanto trovato sul forum "Sai cosa ti spalmi?": "Da qualche tempo però, il biodizionario si è aggiornato assegnando anche alle betaine un bollino giallo, poichè nonostante l'origine "verde" pare sorgano problemi sulla loro biodegradabilità. [..] A livello ambientale, tenendo conto non solo della sostanza finale ma anche del procedimento produttivo, quale delle due è meno impattante? Lo SLES ha un impatto ambientale dieci volte meno ingente di quello della betaina, direi sia come tossicità per gli organismi acquatici che come processo di produzione. Però la betaina contiene meno petrolio dello SLES, e quindi l'uguale classificazione mi sembra bilanciata. Il fatto è che lo SLES è stato e continua ad essere demonizzato inutilmente: è una sostanza facilmente biodegradabile in ambiente aerobico, non si accumula nei fanghi, si degrada benissimo anche in ambiente anaerobico, costa pochissimo e spesso è di derivazione vegetale.Cosa volere di più? L'unico difetto che ha è di avere una piccola quota petrolifera e di godere di pessima stampa. A livello cutaneo è importante osservare l'insieme della formulazione, cioè l'aggiunta di sostanze che vadano a bilanciare l'aggressività dei tensioattivi (anche la betaina non è delicatissima no?).  Ma facciamo così: se la betaina è contemporaneamente allo SLES allora è praticamente insostituibile nel senso che abbatte l'aggressività sia dello SLES che di se stessa in modo evidente. Se la formula non contiene SLES o altri tensioattivi anionici allora la sua azione è vicina al disastro, perché non è proprio delicatissima, anzi. La domanda spontanea a questo punto è: perchè allora la certificazione Icea-Aiab inserisce lo SLES tra le sostanze non ammesse? Perché ha una parte petrolifera ed io, in tutti i casi non l'avrei esclusa perché questo comporta non solo grandissimi problemi al formulatore ma anche costi da boutique!"
Quindi, queste due sostanze non sono cancerogene, ma si tratta di due tensioattivi dal forte impatto ambientale e la cui azione sgrassante, se non bilanciata dalla presenza di altri tensioattivi più delicati, può essere troppo energica, pertanto è meglio evitarle e scegliere altri tensioattivi più naturali e meno schiumogeni. In ogni caso, se avete finito il sapone e dovete comprarne uno "d'emergenza", non allarmatevi: un po' di SLS o SLES non ha mai fatto male a nessuno.

  • FTALATI
Gli ftalati sono derivati del petrolio, e sono i più utilizzati plastificanti al mondo, dunque vengono impiegati in cosmesi per la loro capacità filmogena. Si trovano soprattutto nei prodotti (es. smalti) che si propongono come long lasting: ultimamente però, uno studio dell'Università Federico II di Napoli ne ha decretato la tossicità a livello riproduttivo, quindi è stata imposta una soglia massima percentuale entro la quale possono essere contenuti nei prodotti. In ogni caso, meglio evitarli del tutto: molte aziende, soprattutto quelle che appunto producono smalti, ne hanno escluso l'impiego nei loro cosmetici insieme a tolueneformaldeide canfora. (Sono ftalati BBzP, DBP, DEHP, DEP, DMP).

  • PARABENI
I parabeni sono conservanti usati sia nell'industria cosmetica che in quella alimentare, che sono sotto i riflettori da qualche anno a questa parte in quanto sono stati rinvenuti, in alcuni casi di tumore al seno, nella massa tumorale, lasciando presumere un'azione ormono-simile. Tuttavia, lo studio in questione (che trovate QUI) è stato ampiamente discusso in quanto i parabeni rinvenuti nella massa non risultavano scissi, e ciò implicava una mancata azione degli enzimi presenti normalmente nel nostro organismo: affinchè si verifichi una cosa del genere, la molecola deve penetrare tramite applicazione diretta (quindi tramite un deodorante o una crema sulla zona interessata), cosa che le donne oggetto dello studio hanno negato di fare; pertanto, gli imputati potrebbero essere i detersivi, che avrebbero potuto depositare parabeni nei tessuti degli indumenti, e dunque permetterne un progressivo rilascio.
Nell'attesa di fare maggiore chiarezza sulla faccenda, io li evito: in alcuni paesi sono stati vietati, e sarebbe bene preferire prodotti con l'etichetta Paraben Free.
A questo proposito vi riporto le parole dell'Agenzia Francese di sicurezza sanitaria:
"Sono stati invece osservati effetti tossici del propil parabene e del butil parabene sulla riproduzione in ratti giovani. Gli studi che hanno evidenziato tale effetto sono stati realizzati a dosi di parabeni compatibili con le esposizioni umane e suggeriscono un rischio potenziale per la fertilità maschile. Non è stato osservato alcun effetto con il metil parabene e con l’etil parabene.
Isopropyl, isobutyl, pentyl, phenyl e benzyl paraben: sono poco diffusi e non sono chiari gli effetti per la salute. Meglio non acquistare prodotti con questo tipo di parabeni."
Restano quindi poco chiari gli effetti di queste sostanze, e insufficienti sia gli studi che le modalità usate per condurli e giungere ad una conclusione: nel dubbio, evitate i parabeni a meno che non siano contenuti in prodotti che non usate ogni giorno, come un ombretto o un rossetto di un colore che vi piace particolarmente.

  • EDTA
Si tratta di un composto in grado di legare ioni metallici, ed è scarsamente biodegradabile, quindi viene usato nelle creme per evitare che si irrancidiscano a seguito di un contatto con i metalli pesanti di cui sono costituiti i macchinari delle industrie produttrici o semplicemente come antiossidante, mentre nei saponi ha la funzione di contrastare la durezza delle acque e quindi eliminare quella patina bianca calcarea che si formerebbe, impedendo al sapone stesso di pulire. Pertanto, gli EDTA non sono direttamente dannosi per l'uomo, ma per la falda acquifera e per la fauna marina: le alternative più ecocompatibili sono svariate, quindi evitarli rappresenta una scelta di carattere puramente etico.


  • FORMALDEIDE
Questo composto si trova nei cosmetici in basse percentuali, in quanto è dichiaratamente tossico (se inalato, essendo la formaldeide in natura un gas: si crede a buon diritto che sia dannosa anche in forma liquida, quindi con il nome di formalina). Sono stati banditi i prodotti che lo contenevano (ricordate la storia dei ricoveri dopo la stiratura dal parrucchiere?): tuttavia, ad oggi vengono ancora utilizzate come conservanti svariate sostanze dette "cessori di formaldeide". La formaldeide è un potente battericida, fungicida, disinfettante ed indurente dall’utilizzo versatile, ma è ormai accertato il suo potenziale cancerogeno se presente in grandi quantità: il Regolamento Europeo  sui cosmetici definisce la percentuale massima utilizzabile intorno al 5%, ma con l'utilizzo esclusivo dei cessori di formaldeide si può ottenere un buon sistema conservante rimanendo nel limite dello 0.8/1%.
I più noti cessori di formaldeide sono:
- Sodium hydroxymethyl glycinate 
- Benzylhemiformal 
- Imidazolidinyl urea and diazolidinyl urea 
- 2-Bromo-2-nitropropane-1,3-diol 
- 5-Bromo-5-nitro-1,3-dioxane 
- Quaternium-15 
- DMDM Hydantoin 
- Methenamine 
Queste sostanze si decompongono rilasciando formaldeide in quantità più o meno consistenti, ma comunque all'interno del range stabilito dal Regolamento. Personalmente non ho problemi ad utilizzarli nei prodotti a risciacquo, li evito invece nelle creme e nei sieri: in ogni caso, meglio questi che conservanti sconosciuti e dalla dubbia funzionalità, lavarsi con una melma piena di batteri non deve essere il massimo.

  • QUATERNIUM, POLYQUATERNIUM
Si tratta di sostanze filmanti, utilizzate principalmente come condizionanti per capelli non siliconici: creano un film scivoloso, facilmente emulsionabile con i tensioattivi, non "sporcano" i capelli come il silicone, ma comunque tendono ad appesantirli. Per lo meno è più facile lavarli via, e la loro percentuale nei prodotti è nettamente inferiore a quella che sarebbe contenuta in una formula equivalente, ma contenente silicone, quindi può essere un buon compromesso se decidete di utilizzare prodotti per lo styling "classici" (lacche, termoprotettori e spume sono praticamente zeppe di siliconi) ma volete comunque un inci accettabile.

  • MEA, DEA e TEA
Sono acidi grassi ricavati dall’olio di cocco (che in natura è uno di quelli che irrancidisce più difficilmente): essi servono a conferire cremosità e viscosità ai cosmetici o a far sì che essi producano tanta schiuma, inoltre dovrebbero avere lo scopo di ripristinare il film lipidico della pelle, che viene parzialmente eliminato con il lavaggio. 
Qual è il problema, quindi? L’accusa più pesante mossa a questo gruppo di ingredienti è quella di formare nitrosamine a contatto con la pelle. Le nitrosamine, che derivano dalla combinazione di nitriti e ammine, sono sostanze oggetto di studio, in quanto si teme un loro potenziale potere cancerogeno: nei prodotti cosmetici la loro formazione si verifica in particolare quando le amine si trovano accanto ad alcuni ingredienti, chiamati nitrosanti, come ad esempio il 2-bromo-2-nitropropane-1,3-diol; 2-bromo-2-nitro-1,3-propandiol; 5-bromo-5-nitro-1,3-dioxane; methyldibromo glutaronitrile. Anche per queste sostanze la comunità europea ha imposto dei limiti percentuali, inoltre si sta approfondendo la loro compartecipazione nell'insorgenza di acne e forfora: per fugare ogni dubbio io opterei per la prevenzione, e giacché sono sostanze decisamente inquinanti sarebbe preferibile evitarle.


  • PARAFFINA
Non è mia intenzione fare cattiva pubblicità, ma la paraffina si risolve in due nomi vendutissimi: Labello e Olio Johnson's Baby. Quante volte avrete utilizzato questi prodotti? Ebbene, il loro principale componente è proprio la paraffina, un composto derivato dal petrolio e costituito da una massa di idrocarburi dalla consistenza cerosa, insolubili in acqua e negli acidi. Alzi la mano chi al mare, dopo essersi interamente cosparso di olio (pronto per la frittura), si è tuffato e si è ritrovato intorno un alone in stile chiazza di benzina, come se stesse facendo il bagno nel porto": se la risposta è sì
a) perdonatemi, ma siete matti. Al sole senza protezione?!? 
b) capirete il concetto di insolubile e filmante relativo a questa sostanza.

La paraffina e i suoi derivati sono usatissimi in campo cosmetico, appunto, per la loro azione filmante: si ha la sensazione che la pelle sia liscissima e morbidissima, ma in realtà è solo l'effetto del velo che la paraffina stessa ha formato. Infatti, queste sostanze NON SONO ASSOLUTAMENTE degli idratanti, bensì potremmo considerarli anti-disidratanti: usare la vaselina sulla pelle non la idrata, ma aiuta a conservarne lo stato di idratazione; è chiaro che a lungo andare, se non usate altro, la pelle si seccherà perché non riceverà, appunto, alcuna idratazione dall'esterno (e questo è un altro discorso lunghissimo, in quanto la pelle è una barriera, e per far penetrare qualcosa al suo interno bisogna "abbindolarla"). 
Quello che si imputa alle paraffine è, in primis, la loro presunta azione comedogenica. La pelle umana si protegge da sola con un mantello lipidico, fatto di idrocarboni come lo squalene: anche aggiungere tanti idrocarboni di origine vegetale, quindi, occlude i pori della pelle, e può causare la comparsa di comedoni. Inoltre, non è detto che un cosmetico contenente una sostanza comedogenica sia a sua volta comedogenico nella sua interezza.
In secundis, la paraffina sarebbe cancerogena: la realtà è che essa, e le sostanze ad essa affini, lo sono nel momento in cui non vengono opportunamente raffinate e trattate durante il processo di lavorazione, poiché se ciò non accade tali sostante risultano ricche di PAH (idrocarburi aromatici policiclici), dichiaratamente cancerogeni. Il problema è che anche molti oli vegetali sono ricchi di CPFA (CycloPropene Fatty Acids), che sebbene non siano stati studiati quanto i PAH, hanno una discreta fama di essere cancerogeni (o potenzialmente tali) per l'uomo: tuttavia, la purezza degli oli non viene controllata quanto quella delle paraffine, dunque potrebbero esserci molti più CPFA in un prodotto senza paraffine di quanti PAH ci sono in un prodotto che invece le contiene. Ai posteri l'ardua sentenza.

  • POLYETHYLENE GLYCOL (PEG)
Usati molto nell'industria come sgrassanti, il numero dopo "PEG" indica il suo peso molecolare, che influenza le sue caratteristiche: più elevato è, maggiore è l'aggressività del prodotto. Il loro compito in cosmesi, data la loro natura anfifilica, è quello di conferire potere lavante (per quanto riguarda i detergenti) o sostenere le emulsioni (nel caso di creme e lozioni): sono estremamente demonizzati per il loro presunto impatto ambientale, essendo derivati dal petrolio. Tuttavia, in realtà, questi composti sono piuttosto biodegradabili e scarsamente tossici: il vero problema è l'eventualità che durante la loro sintesi vengano contaminati da qualche intermedio di reazione, in particolare 1-4 dioxane o idroperossidi (sotto irraggiamento ultravioletto); sono inoltre piuttosto irritanti. La contaminazione, però, è un problema anche dell'universo bio, in quanto persino gli oli essenziali usati nei cosmetici potrebbero essere stati contaminati da pesticidi; è necessario, quindi, evitare questi composti nei solari in maniera TASSATIVA, per escludere la possibile formazione di idroperossidi, ma non è un problema rinvenirli nei prodotti a risciacquo.


  • SILICONI
"Dagli all'untore!" avrebbe detto Manzoni, e non escludo che questo possa diventare il prossimo mantra delle estremiste dell'ecobio. Parliamo dei siliconi: ho scelto di trattarli per ultimi, pensando al terribile alone nero che avvolge già la desinenza -one, e che ingenera ictus a iosa al solo udire -siloxane. Primo errore: ci sono sostanze che terminano per -one, ma siliconi non sono, e siliconi che invece non terminano con nessuna delle due desinenze.
Nell'opinione comune, ormai, su queste sostanze c'è una vera disputa: da un lato l'esercito delle bio talebane, che sbandierano al mondo quanto sia orrendo l'INCI di qualsiasi prodotto non egobbio (ehm, coff coff), e dall'altro quelle che non hanno voglia di pensarci, che non se ne fregano, che vogliono essere vittime del suddetto marketing perchè magari la boccetta di quel fondo è troppo faiga, che gridano alla calunnia. 
A chi credere? I siliconi sono polimeri inorganici estremamente versatili e fortemente diffusi nell’ambito della cosmesi, dalle proprietà idrorepellenti, antistatiche e duttili, dall'elevata resistenza alle alte temperature e alle condizioni atmosferiche. La caratteristica fondamentale dei siliconi è quella di rendere morbidi e setosi pelle e capelli, e conferire loro un aspetto immediatamente più levigato, liscio e piacevole al tatto: essi sono inoltre ottimi veicolanti per sostanze facilmente ossidabili, sono poco costosi, piuttosto inerti, anallergizzanti, difficilmente deperibili e non penetrano nell'epidermide.
L’effetto swish dato dai siliconi è, tuttavia, solo apparente: essi creano una barriera impermeabile che dunque ha una funzione quasi analoga a quelle della paraffina (che avevamo definito anti-disidratante), con la differenza che sono in grado di veicolare sostanze come peptidi o altre piccole molecole per cui acqua o oli non sarebbero bastevoli. 
Il capo d'accusa più frequentemente imputato ai siliconi è la loro capacità di occludere i pori, e dunque indurre la formazione di comedoni. Se impiegati nei prodotti per capelli, invece, essi tendono a rivestire i fusti capillari completamente ed impediscono il passaggio di sostanze nutrienti ed idratanti: inizialmente i capelli appaiono più lisci, le doppie punte invisibili e l’effetto crespo minimizzato, ma successivamente il capello inizia a perdere tono, a seccarsi notevolmente ed appare “bruciato” e privo di lucentezza. Perché? Il capello è materia morta, dunque non può essere rivitalizzato: si possono solo mascherare i danni, ed è proprio questo che il silicone va a fare, un po' come quando mettete tanto correttore sul brufolo che vi spunta sul mento prima di un'occasione importante, non lo manderà via, ma almeno lo coprirà.  I prodotti siliconici non sono affatto curativi: essi si depositano sul capello e, creando un film, vi impediscono di vedere la realtà dei fatti; legano inoltre lo sporco, per cui spesso chi usa shampoo e prodotti siliconici ha i capelli grassi a livello di cute, ma secchi sulle lunghezze, poiché se il risciacquo non è adeguato lo sporco permane e il lavaggio non sortisce l'effetto desiderato, innescando un circolo vizioso che porta a lavarli sempre più e danneggiarli sempre più.
Tolta la montagna di silicone che li riveste (e questo può richiedere anche un anno, l'importante è non demordere!), i capelli si mostreranno per quello che sono: secchi, rovinati, crespi e indomabili, per cui fatevi il segno della croce, date una bella spuntata e tenete duro. Ne varrà la pena: eliminato il "peso" che gravava sui vostri capelli, essi riacquisteranno forma e volume, e diventeranno più resistenti alla trazione, avendo voi eliminato l'innaturale trazione persistente data dalla presenza del silicone stesso.
Diverso è il discorso per la pelle: non ci sono fonti certe sulla comedogenicità di queste sostanze, in maniera molto generale potremmo accorparne la funzione a quella delle paraffine, per cui tenderei ad evitarle nei prodotti non a risciacquo.
Infine, i siliconi non sono biodegradabili, pertanto costituiscono una grossa fonte di inquinamento per l'ambiente: la loro presenza in concentrazioni fino al 2%, in alcuni cosmetici, può garantire una texture più setosa e un effetto più immediato a primo impatto, ma il mio consiglio è quello di evitarli a favore di sostanze più ecocompatibili, se non appunto nei bagnoschiuma che ne contengono percentuali minime.

Conclusioni: innanzitutto, complimenti per esservi sorbite questo pippone! Come vi dicevo, mi sono avvicinata a questo mondo da relativamente poco, eppure ho notato dei cambiamenti piuttosto radicali: in pochi mesi, nonostante i miei capelli avessero inizialmente assunto l'aspetto di una spugna per piatti, ho ottenuto una chioma nettamente più bella e soffice (ma questo work è ancora in progress) e la pelle è visibilmente meno opaca. Non è detto che però qualcuna di voi non possa ritrovarsi un mega sfogo cutaneo usando prodotti bio contenenti solo ingredienti "verdissimi": ho avuto un'esperienza a dir poco "teribbile" con la curcuma (Janas, per inciso, prima che mi chiediate quanto fosse pura o di buona qualità), che mi ha causato una dermatite da contatto spaventosa, con prurito, rossore, croste sul cuoio capelluto e una marea di capelli caduti. e una spaventosa reazione allergica al neem, che usato insieme all'argilla in una maschera viso mi ha fatto diventare super rossa, calda e gonfia su tutto il volto. 
Sono da sempre appassionata di cosmetici, e con il tempo ho imparato a distinguere ciò che più era adatto a me: passatemi il termine, non mi ritengo una "testimone di Geova", non vi sto istigando a convertirvi, ma spero di riuscire a stimolarvi a riflettere. Nello scrivere questo articolo sono stata super partes, e mi sono limitata a riportare notizie comprovate da studi scientifici: spero però di avervi aiutate ad ascoltare la vostra pelle, e a farvi un'idea più chiara di come funzionano i prodotti che vi spalmate.

Se vi fa piacere, lasciate un segno del vostro passaggio. Alla prossima!


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1 commento

  1. Bravissima! Hai creato un articolo piuttosto completo illustrando pro e contro delle varie sostanze. In genere non amo gli allarmismi eccessivi, piuttosto preferisco le spiegazioni come la tua!

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